Qualche commento tecnico su Fate/stay night: Heaven’s Feel II. lost butterfly

(Ho cercato di ridurre gli spoiler al minimo, tenendo conto però che sappiate che questa è la trasposizione di un eroge e che adatterà una good ending)

Fate/stay night: Heaven’s Feel Lost Butterfly sotto certi aspetti mi ha stupito. Credevo di aver compreso almeno un po’ il funzionamento e le strutture dello studio Ufotable ma a quanto pare ho ancora davvero parecchio da imparare. Questo non troppo corposo articolo nasce da un piccolo e carezzevole sentimento di meraviglia che ho provato nel notare e ricercare alcuni particolari del film. Non la ritengo certo una grande opera degna di prolisse lodi ma è stato sicuramente in grado di emozionarmi e può certamente farci intuire, assieme ad Emiya Gohan e Yaiba, le possibili direzioni che prenderà lo studio nei prossimi anni.  Sempre che non sia costretto a chiudere i battenti a causa della scivolata di Kondo, si intende.

La prima cosa che salta all’occhio è sicuramente la supervisione delle animazioni, davvero meticolosa e pregnante all’interno di praticamente ogni scena del film. Le espressioni dei personaggi e i giochi di luce ed ombre presentano una complessità decisamente superiore a quelle del proprio predecessore. La ragione di questo risultato a dir poco mastodontico sta forse in una peculiare divisione dei ruoli all’interno dello staff: i supervisori dei keyframes e degli inbetween infatti sono stati indirizzati non soltanto verso specifichi tipi di scena ma anche su specifici personaggi. Ad esempio, Yuka Shiojima si è occupata di supervisionare soltanto i keyframes in cui era presente Shinji, Yuka Kawashima si è focalizzata sugli inbetween in cui era presente Archer e Yosuke Takeda ha fatto lo stesso con Illya. Presumibilmente, ma non ci sono conferme di ciò, lo chief animation director Tomonori Sudou si è concentrato su Sakura e  ha supervisionato la tanto vociferata scena erotica.

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Archer di Yuka Kawashima
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La Illya di Shimabukuro. Come potrete facilmente notare durante la visione del film, è parecchio differente da quella di Takeda, sia per la forma dei capelli che per la costruzione del volto.
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Shirou di Kouji Akiyama. Molti fan hanno notato una crescente somiglianza con il tratto di Sudo.
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Sakura di Yuka Shiojima. Le proporzioni del viso differiscono abbastanza da quelle di Sudo.

Questo aspetto può sembrare di importanza relativa, dopotutto sono decenni che esistono specifiche specializzazioni per i supervisori delle animazioni, tuttavia raramente la divisione del lavoro di correzione viene applicata a livelli così microscopici, coinvolgendo anche gli inbetween-checker.  Inoltre molti sakkan del film erano, ancora prima dell’uscita di Unlimited Blade Works, grandi fan di specifici personaggi dell’opera originale e negli anni hanno disegnato, anche solo come tributo alla propria passione, i loro beniamini innumerevoli volte. Lo stesso Tomonori Sudo, regista, character designer e supervisore delle animazioni del film, ha dichiarato di amare particolarmente il personaggio di Sakura al punto da voler dedicarsi in maniera estensiva all’intero ciclo di Heaven’s Feel.

Questo, penso oramai lo sappiate, non basta a convincermi sulla resa dei disegni, dopotutto stiamo vedendo un cartone ANIMATO e non giocando una riedizione dell’eroge composta da singole CG: per quanto un singolo primo piano di Shinji possa raffigurare con chiarezza la sua contorta mente ritengo decine di volte più soddisfacente ed espressivo il vederlo roteare le braccia a destra e a manca mentre muove su e giù la testa in maniera peculiare corredato dall’ottimo doppiaggio di Hiroshi Kamiya.

Per fare questo un supervisore delle animazioni non è che un intralcio, un ulteriore barriera da superare, quel che occorrerebbero sono piuttosto key animator dalla prominente capacità recitativa di cui il film non è totalmente privo, badate bene, ma che ancora faticano ed emergere. Non siamo assolutamente ai quasi imbarazzanti livelli della prima pellicola, in cui soltanto Sakura aveva la tendenza a compiere qualche movimento involontario quando messa alle strette, ma ancora fatico a considerarlo un progetto in cui movimenti e doppiaggio “collaborano” alla ricerca di un risultato unitario. Va detto comunque che questo film è stato prodotto in concomitanza, e non successivamente, con il sicuramente più fresco e delicato Emiya-san Chi no Kyou no Gohan. Scopriremo l’influenza di quest’ultimo soltanto nei prossimi anni ma sono convinto, proprio per via delle migliorie apportate rispetto al primo capitolo, che lo stesso Sudo si sia reso conto della necessità di una caratterizzazione espressiva dei personaggi più multiforme e ricca.

Infatti sul versante del timing, per alcuni personaggi, ci troviamo sicuramente sulla buona strada: è interessante notare come i movimenti di Archer e Shirou si assomiglino molto per uniformità, seppure quelli del secondo presentino un minor numero di intercalazioni nella sezione finale delle azioni, o come quelli di Sakura lascino molto intendere i suoi recenti sviluppi caratteriali attraverso il contrasto tra azioni robotiche e segmenti più frenetici a seconda del suo stato emotivo. Quel che manca a queste figure è un posing ben più vario, che aiuti anche a far percepire meglio il ritmo dei loro movimenti, altrimenti ingabbiato in azioni davvero semplici e forse un po’ noiose.

Le scene d’azione questa volta sono state dirette da Takehiro Miura, che rispetto a Sudo ha un controllo della camera decisamente più ragionato e meno incline alle lunghe pianosequenze. Come nel precedente film il senso di scala degli scontri avrà un importante ruolo, ma questa volta azioni, reazioni e posizionamento dei personaggi non faranno venire il mal di testa a nessuno. I principali combattimenti del film mi hanno ricordato parecchio la battaglia finale di Unlimited Blade Works, sia per la scelta delle inquadrature che sa quando essere frenetico e quando occorre creare pause dall’importante valore scenico.

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L’aspetto visivo più riuscito del film è sicuramente l’effect animation che si discosta ampiamente da quella del precedente film assumendo una larghissima rosa di forme e colori differenti, tanto che persino gli “attacchi speciali” che abbiamo già visto nel precedente film o nella serie televisiva ufotable presentano una rinnovata veste grafica in grado di far sposare forme globulari con sinuosi raggi magici dalla forte tridimensionalità. La ragione dietro a questo straordinario risultato va forse ricercato nel gran numero di animatori freelance che si sono dedicati alle scene d’azione. Ad oggi, Lost Butterfly è sicuramente l’anime ufotable moderno col maggior numero di professionisti esterni allo studio impiegati in questo campo, aspetto che non sarei mai riuscito a prevedere prima di un’attenta lettura dei titoli di coda.

Sempre in quella sezione vi è una delle più spettacolari messe in mostra di impact frames degli ultimi anni, ad opera di Nozomu Abe, che questa volta sembra quasi fare l’occhiolino agli effetti web-gen più classici, adatti ad uno stile di compositing un po’ più leggero rispetto a quello di Presage Flower. Vuoi che sia perché Gae Bolg non è più parte integrante del repertorio di effetti del film o perché si è voluto nuovamente porre l’accento sui perniciosi nuovi poteri di certo personaggio, i contorni e ed i diversi layer di esplosioni, detriti, scudi magici e raggi sono decisamente più visibili delle altre produzioni ufotable. Non mi stupirebbe proprio se questa pellicola diventasse la porta d’ingresso per un discreto numero di fan a questo genere di sequenze animate.  L’unico piccolo neo che mi sento di indicare sta nelle reazioni dei personaggi ai movimenti degli effetti, che forse sono un po’ troppo statiche e non sufficientemente dettagliate se confrontate con quello che magari avviene ai detriti e agli oggetti circostanti.

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Genga di Nozomu Abe

Il compositing però non si fa da parte per l’intera durata del film, difatti le scene meno movimentate saranno comunque imbevute di aloni chiaroscurali strutturalmente non dissimili da quelli incontrati nelle precedenti produzioni: il direttore della fotografia Yuichi Terao non molla la presa ma ben comprende, assieme all’art director Koji Eto, che la città di Fuyuki ha bisogno di qualcosa che la renda ben più caratteristica, forse addirittura più umana.

In una certa scena del film, uno degli antagonisti instillerà nella mente di Shirou un profondo dubbio: occorre salvare la persona amata o rigettarla in nome del benessere dell’intera comunità? E nel caso decidesse di perseguire la prima strada potrà comunque definirsi un paladino della giustizia? Questo è sicuramente un importante punto di svolta per l’intera storia, che forse sarebbe risultato un po’ più debole se l’ambientazione urbana fosse stata rappresentata nuovamente da sfondi fotorealistici e dai colori spenti. Non è il caso di Lost Butterly, per fortuna, in cui efficientissimi dettagli dai colori sfavillanti contrastano con la prevalente atmosfera cupa. Se non c’è la possibilità di inserire un elemento rosso, verde o azzurrino all’interno del frame gli addetti al compositing si curano spesso di inserire qualche amichevole luce chiara che fa timidamente capolino tra le tinte più scure. Ho apprezzato davvero molto queste scelte ragionate, dopotutto se Fuyuki fosse stata un totale mortorio privo d’un’anima vibrante il dibattito interno del protagonista sarebbe fin troppo intuibile e scontato.

Per concludere vorrei parlare un po’ degli aspetti legati al trasporre un eroge in un film per il grande pubblico, che finalmente fanno capolino all’interno della trilogia. Le scene dai maggiori contenuti sessuali sono davvero interessanti, perché riescono efficacemente a tramutare il pornografico in sequenze fortemente drammatiche ed empatiche senza tagliare le più importanti informazioni trasmesse in quei momenti. I cut principali sono decisamente espliciti ma mai volgari, grazie alla pressante oscurità che permea la scena e ai fisici statuari supervisionati disegnati da Makoto Nakamura e supervisionati da Sudo, che in una specifica inquadratura sembrano quasi citare la scultura classica per conferire un’atmosfera quasi tragica alla scena.

Oltre a quella, vi è un’altra scena davvero particolare che non mi sarei mai aspettato di vedere in un anime ufotable. Animata presumibilmente dall’animatrice freelance Makiko Miyake, la sezione dall’eccellente messa in scena fiabesca fornisce al personaggio di Sakura nuovi sottotesti molto vicini al denpakei, assenti nell’opera originale, che però ben si legano al personaggio e che creano un apprezzabile contrasto con il segmento immediatamente successivo.  Spero proprio di rivedere simili momenti anche nell’ultimo capitolo della saga che, specialmente nelle sequenze conclusive, necessiterà di una visione solida ma in grado al contempo di prendersi discrete libertà per produrre un finale dal soddisfacente ritmo.

Fonte AD/IC: Newtype gennaio 2019

Grazie mille anche a Xaryen per avermi aiutato a creditare gli animatori.

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Lo Shikishi con Sakura ed il coniglietto è stato disegnato da Makiko Miyake. Da qui la speculazione sull’attribuzione della scena.

 

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