Qualche commento su “Yoshinori Kanada, un rivoluzionario dell’animazione nipponica” (NHK)

I lettori più accaniti di questo blog già possiedono, senza ombra di dubbio, una discreta familiarità col nome e l’eredità visuale di Yoshinori Kanada. Se per pura ipotesi chiedessi attraverso un sondaggio chi è l’animatore giapponese più influente di sempre, il suo sorriso e i suoi occhiali da sole dominerebbero certamente tra i primi risultati e sarebbe sicuramente al primissimo posto tra coloro che hanno raggiunto la maturità artistica nel corso degli anni 80’. Insomma, siamo di fronte ad un personaggio conosciutissimo che però risulta fin troppo spesso mitizzato e il cui contributo viene quasi sempre dato per scontato.

Sentivo il bisogno di fornire ai fan più strumenti d’approfondimento e per questa ragione mi sono prodigato a ri-tradurre in inglese un vecchio documentario sulla carriera dell’animatore pubblicato per la prima volta il 14 agosto 2010 su NHK, per commemorare la prematura scomparsa del maestro l’anno precedente, che potete trovare qui. La traduzione originale presentava vari errori, specialmente nelle interviste, che a mio avviso meritavano una correzione.

Il documentario però, come ogni altro testo presenta criticità, difetti ed errori, ed è proprio di questi che vorrei scrivere oggi, assieme alle sue implicazioni e ai miei orrori di traduzione.  Consiglio comunque la visione dello special televisivo a tutti i lettori prima di proseguire con l’articolo, anche perché il mio testo segue cronologicamente passo dopo passo ogni segmento narrativo dell’opera.

Don De la Mancha: abbiamo letto gli stessi crediti?

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Nella sezione dedicata al suo storyboard per il sesto episodio di Zukkoke knight Don De La Mancha, si afferma come la separazione della parte inferiore del corpo dell’antagonista in una particolare scena possa essere attribuita ad una cattiva interpretazione del lavoro di Kanada da parte degli animatori. Gli autori del programma giustificano la teoria affermando che lo storyboarder era fin troppo impegnato per prendere parte al processo d’animazione, tuttavia questo non è affatto vero tanto che l’animatore viene creditato sia come ekonte che come key animator. Un qualche tipo di fraintendimento avvenuto all’ultimo minuto, magari a causa di problemi organizzativi non è affatto impensabile, ma non vi è nessuna conferma di questo e la giustificazione fornita è del tutto erronea.

Un giovane inesperto

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Il discorso di Takuo Noda è un’importantissima testimonianza ma occorre contestualizzarla meglio: Yoshinori Kanada si appassiona all’animazione nel 1969 grazie a Flying Phantom Ship e ad Attack N.1, e nello stesso anno frequenta un corso di disegno per corrispondenza. Nel 1970, concluse le scuole superiori, inizia la sua carriera come dougaman alla Toei Animation. Quando Noda afferma che Kanada “disegnava nervosamente ogni frame il meglio possibile” e che “si aspettava proprio questo da un principiante come lui” non intende affatto affermare che il giovane Kanada fosse privo di talento, ma che semplicemente aveva delle abilità molto inferiori rispetto a quelle degli altri inbetweener e questo è comprensibile considerando la sua esperienza quasi nulla. Forse un aspetto di questa sezione che si poteva meglio approfondire sono le grandi somiglianze tra le pose sportive di Attack N.1 e quelle d’azione del Kanada anni 70’, riscontrate anche dall’autore di questo MAD, poiché attribuire soltanto l’influenza di Miyazaki e Kotabe all’interno della tagliente character animation dell’animatore è un po’ limitante.

L’invenzione del Timing

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Da quando ho iniziato a leggere testi d’animazione in giapponese, ho sempre sofferto moltissimo le analisi di Ryusuke Hikawa, e queste non fanno eccezione. Anzitutto il “si prendeva il tempo che la scena necessitava anche a costo della sua stessa salute” non è un comportamento affatto raro nel settore dell’animazione, oggi come allora, e questo non giustifica affatto i risultati dell’animatore. Detta a questo modo sembra quasi che fosse l’unico disposto a fare sacrifici, il che è abbastanza irrispettoso nei confronti degli altri professionisti. Anche il discorso fatto sulla “regola delle tre parti” può trarre in inganno: senza dubbio, un gran numero di tecniche di timing sono state inventate da Kanada ma occorre dire che la suddetta regola non è altro che una semplificazione utile ad indicare un “framerate medio” dei disegni animati televisivi e non una prassi imposta a tutti gli animatori: gli stessi Hayao Miyazaki e Yasuo Otsuka che Kanada ammirava a spesso adottavano simili espedienti pur rimanendo più nell’ambiente dell’ “animazione in terzi”(8 frames d’animazione al secondo) che in quella dei “mezzi”(12 frames d’animazione al secondo). Kanada Yoshinori non ha ideato il principio del timing, ma è stato certamente l’animatore della sua epoca che più è noto per aver sperimentato le sue potenzialità.

L’errore di Genma Taisen

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Attribuire a Genma Taisen anche solo parte del successo dell’animazione nipponica a livello internazionale è semplicemente erroneo. Il film venne proiettato nelle sale nipponiche nel 1983 ed ebbe la sua prima release estera nel 1992. Per contestualizzare, Akira debutta nelle sale americane nel 1989 e Dragonball Z viene trasmesso negli Stati Uniti a partire dal 1990. Genma, o Harmageddon che dir si voglia, fa parte di quei titoli da giovani adulti che vennero licenziati proprio grazie al successo di altri, non fu in alcun modo un precursore. Non si può dire comunque che rimase inosservato in patria: fu il film d’animazione più redditizio dell’anno e l’ottavo film del 1983 per introiti.

Genga Gashira, non Kashira!

“Genga gashira”(原画頭, letteralmente capo genga/man/) non è altro che un credito inventato da Isao Takahata e successivamente adottato formalmente dalla Ghibli per indicare il main animator o l’ace animator. Non tradurre e traslitterare malissimo questo ruolo è stato assolutamente un mio errore, ma forse anche il documentario avrebbe dovuto in qualche maniera esplicitarlo meglio. La sottile differenza che c’è tra genga gashira e main animator sembra essere legata al fatto che il gengaman gashira non dovrebbe venire corretto dai supervisori delle animazioni come accennato da Tomonaga, ma questa particolarità non è confermata da nessun’altra fonte nelle produzioni successive a Laputa.

Seiya Numata: il successore di Yoshinori Kanada?

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Questa è proprio la sezione che mi ha fatto venire voglia di scrivere l’articolo in primo luogo: di per sé non presenta nemmeno di un errore o di un comportamento fazioso da parte degli autori, quanto di una larga interpretazione scorretta dei loro intenti. A fine documentario ci viene presentato Seiya Numata e vengono messi in evidenza i suoi tratti artistici più caratteristici che ha ereditato da Kanada.

Questo segmento è stato interpretato per lunghi anni, sia da parte degli animatori giapponesi che dei sakuga fan esteri, come l’incoronazione dell’allora giovane animatore a “successore di Kanada” o addirittura da alcuni come un “nuovo” Kanada. A pochi giorni dall’uscita del documentario lo stesso Raito-kun di Aninomiyako, uno dei primi pionieri del sakugablogging occidentale dopo anipages, scrisse una piccola monografia dedicata all’animatore che introduceva elencando le somiglianze tra le due figure: Numata era ancora relativamente giovane, si era distinto soprattutto come action ad effect animator e la sua presenza all’interno delle produzioni di quell’epoca si faceva sentire eccome.

Tuttavia non credo proprio che il documentario avesse questa goffa, goffa pretesa. Un aspetto che è stato toccato soltanto leggermente grazie alle parole di Murakami è stato quello dei seguaci e degli imitatori di Kanada (detti 金田モドキ, Kanada modoki, in giapponese) e di tutti coloro che hanno portato avanti alcune caratteristiche del maestro per poi intraprendere un percorso più personale nel corso degli anni. Tra gli animatori di queste categorie possiamo citare figure come Shinya Ohira, Masayoshi Tano, Atsushi Yano, Masami Obari o Masahito Yamashita che nel corso degli anni 80’ avevano già ottenuto una più che discreta fama tanto che ebbero a loro volta una schiera di seguaci ed imitatori, Koji Ito primo fra tutti.

Il nocciolo della questione è il seguente: se mai c’è stato un periodo storico in cui ragionare dei successori di Kanada aveva senso, quello erano gli anni 80’ e non certamente il nostro decennio.  Come raccontano il documentario stesso e l’animatore Jun Arai in quest’intervista, sin dai primi anni 90’ il movimento dei Kanada Modoki perde importanza e sono ben pochi i nuovi artisti che si inseriscono in questo discorso. Proprio per questa ragione decisi di creare una distinzione implicita tra i Kanada Modoki e gli animatori della generazione successiva all’interno di quell’intervista: Jun Arai, Akira Amemiya, Hiroyuki Imaishi, Seiya Numata e Kai Ikarashi sono animatori “Neokanada” nel senso che vivono appieno l’era Post-Kanada, un periodo storico in cui emulare il maestro non è più richiesto dal mercato dell’animazione, lo stile non è più così accettato dai supervisori delle animazioni e la sperimentazione si è spostata verso altri lidi, pensiamo ad esempio alle piattissime forme webgen o al kagenashi o ancor prima alle accurate rappresentazioni del peso dei realisti anni 90’.

Con quella scena, Il documentario voleva semplicemente mostrare come, nonostante il passare degli anni, Kanada ancora affascini e le sue trovate vengano continuamente emulate condensando tutto proprio nella figura di Numata. Non so se questa rappresentazione sia stata figlia di una timeslot troppo breve o così voluta dagli autori ma sono dell’idea che rimanga comunque un’assoluta semplificazione. L’eredità di Yoshinori Kanada non sta soltanto nel suo Kanada Dragon, nelle luci o nelle pose più dinamiche.  È qualcosa di più profondo, come l’idea che non servano mille inbetween frames per realizzare un’animazione carica di vigore, come l’idea che anche un solo singolo disegno possa catturare l’attenzione all’interno di una sequenza, come l’idea che un solo animatore possa fare la differenza all’interno di un progetto grazie alla sua visione carismatica. Questi sono oramai concetti che permeano l’animazione nipponica nel profondo, ma per essere degnamente raccontati ci sarebbe voluta un’altra intera ora ricca dei più disparati esempi. Per questo, mi sento perdonarli.

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